martedì 30 novembre 2010

Mario Monicelli ha atteso la fine della cultura ed è partito, per sempre.

"Caro Mario te ne sei andato pure tu!", così esclamerà il popolino. Chissà cosa dirai lassù quando ti chiederanno: Ma è vero? E' possibile che in Italia sono così regrediti. Che la cultura è vista come nemica numero uno? E tu sorridendo gli risponderai: "Fatti loro, non vedevo l'ora di venirvi a trovare, forza su mettiamo insieme un bel progetto e iniziamo a girare".

     Mario Monicelli, che in questi giorni aveva appoggiato le proteste contro i tagli alla cultura e al cinema italiano se ne va, il suo corpo ovviamente, perché la sua anima Mario la lascia per sempre qui, nella sua nazione che tanto ha amato come tanto l'ha odiata. Come in un suo film ha lasciato la sua gente volando via a 95 anni.
Mario Monicelli
  
 Si può difatti dire che, come Garibaldi, Monicelli ha fatto la storia d'Italia e creato, cosa che il generale Garibaldi non fece, gli italiani, alcuni italiani che come in uno specchio si specchiavano nei suoi film, studiando la propria identità, il proprio corpo. Gli italiani erano quelli che Monicelli. con altri grandi del suo  calibro come Fellini, Pasolini e Risi, metteva in scena su quel grande schermo che per decenni fece incantare gl'italiani. Ma adesso tutto è finito, per un Monicelli non c'è più posto. Non c'è più il cinema quello vero, quello che serviva a fare d'autocritica, da catarsi, che serviva, perchè no, a distrarsi piacevolmente a svagarsi intelligentemente. In questo secolo donato alla volgarità non c'è angolo che possa ospitare un briciolo di cervello che ragioni produttivamente.

     Questo è un mondo che non faceva per uno come Mario, per la verità già da un po' di tempo, ma noi siamo convinti che non se ne sia andato prima e ha resistito fino a 95 anni per spiegare la fine, la fine di tutta la cultura italiana e dell'Italia agli amici del piano di sopra, per questo non ha atteso i 150 anni dell'unità, ne aveva di cose da raccontare e possiamo giurarci ne avranno da ridere lassù, i migliori, quelli che non ritorneranno mai più.
   Ciao Mario di te si parlerà sempre troppo poco per spiegare chi veramente sei stato.

domenica 28 novembre 2010

Un assassino, tre identità-Il delitto della domenica

E'un caldo venerdì di luglio quando, nella stanza da letto del loro appartamento di corso Grosseto, a Torino, si scoprono i cadaveri dei coniugi Franco e Angela Porpiglia, di 73 e 65 anni. I due, pensionati, erano di origini reggine, ed era proprio in Calabria che stavano per andare, infatti erano già pronti i bagagli che sarebbero serviti per l'indomani. Ma purtroppo non sono più serviti, in Calabria non andranno mai.
A scoprire i corpi è Marilù, la figlia, poliziotta in Procura. L'orgoglio della famiglia.
     La figlia,vista la partenza dei genitori, voleva passare da casa per salutarli, ma non ottenendo risposta alle numerose telefonate, decide di recarsi in corso Grosseto in compagnia del marito. Quando apre la porta, per poco non sviene. Il padre e la madre sono due corpi immobili, circondati dal sangue. Li hanno massacrati a bastonate e finiti a coltellate: al torace e al collo. La madre è stata colpita alla nuca, forse con quell'ombrello spezzato lì di fianco. Il padre invece, nel corridoio, cercava di fuggire, invano. Il portafoglio di Franco è stato svuotato di carte di credio, bancomat e 500 € da poco ritirati, che sarebbero serviti per la loro vacanza.
      La pista della rapina non viene nemmeno presa in considerazione, data la ferocia eccessiva usata dall'assassino. Il killer non ha lasciato tracce, dato che si è infilato dei sacchetti di plastica sopra le scarpe per non imbrattarsi di sangue; ha lasciato il coltello sporco di sangue nel lavello della cucina e si è cambiato d'abito prima di lasciare l'appartamento.
  
     Fino all'ultimo sperano che l'assassino non sia lui, si fa fatica ad ammetterlo: è Roberto Porpiglia, 37 anni, l'altro figlio della coppia. La certezza si ha quando, la sorella Marilù, disperata, tenta di chiamare il fratello, ma trova il telefono staccato. E non lo riaccenderà più.
     L'ultimo ad aver visto Roberto è il barista verso le 9 e 30, giusto l'ora del delitto, è uscito dalla casa dei genitori, vestito di nero, ed è salito sul tram, il numero 10.

     Ma chi è Roberto? E' un ragazzo, o meglio un uomo che non si decideva a crescere, sempre in cerca di soldi e senza lavoro. Di tanto in tanto, come raccontava lui, faceva il deejay, ma ancora non aveva messo la testa a posto. I vicini raccontano che, più di una volta aveva alzato le mani sui genitori.
     Dopo diversi giorno di ricerche senza esito, la sorella lancia un appello in video al fratello fuggiasco: lo supplica di tornare, di mettersi in contatto con lei, la quale gli garantirà tutto l'aiuto necessario. Roberto non si fa vedere nemmeno in chiesa e al cimitero. Ma allora dov'è? Un amico butta un'ipotesi: e se fosse scappato all'estero? Come dua anni prima, quando andò in Africa, ma poi finiti i soldi non sapeva come rientrare. Ci pensarono mamma e papà, mettendo mano al portafoglio. Come hanno sempre fatto per quel figlio scapestrato.
     Dieci giorni dopo, alla stazione di Torino. dal treno proveniente da Barcellona, scende Ivan Leonardon, così riporta il documento allegato alla denuncia fatta al consolato spagnolo, ivi si è recato Ivan, sostenendo di aver smarrito i documenti. Mentre si appresta a prendere il tram, il numero 10, un agente della polfer, insospettito gli si avvicina e gli chiede: "Sei Roberto Porpiglia?" "No, io sono Ivan Leonardon". Ma l'agente non ne è convinto e lo porta in Questura, dove la sorella lo vede e lo riconosce. Nemmeno dopo 14 ore di pressanti domande, Ivan\Roberto si decide a confessare, cosa che non farà mai.
     Gli verrà riconociuto il vizio parziale di mente, nonostante i suoi show in aula: un denudamento, il racconto di essere stato torturato dalla Cia, ecc.. Fornirà anche una terza identità, quella di un aviatore americano.

     In primo grado viene condannato a 23 anni di carcere, ma non si è mai saputo il movente dell'omicidio.
Questo è l'epilogo, triste epilogo, di Roberto Porpiglia, un eterno ragazzo, che sognava di fare il modello, infatti nei suoi book vi sono foto con sguardo ammiccante, sigaretta in bocca, maglione a girocollo e giacca sulle spalle. Sognava di sfondare nel mondo dello spettacolo. Ma ha sfondato la testa ai suoi genitori.

giovedì 25 novembre 2010

L&L-Lega ladrona

Ormai prossimo alla caduta, con gli esigui numeri parlamentari, il Governo Berlusconi non ha più alcun appoggio a livello politico. Dopo la famosa fuoriuscita dei finiani e la conferma della sfiducia del prossimo 14 dicembre da parte dell'UDC di Casini, Berlusconi può contare solo (per ora) sul suo unico e fedele alleato: la Lega Nord.
Umbero Bossi,fondatore e capo della Lega Nord
Come abbiamo visto fino ad adesso, il partito di Bossi (nella foto) è stato determinante se non essenziale per Berlusconi e il Pdl già dalle ultime elezioni che, senza il suo prezioso 10%, a Palazzo Chigi, oggi, siederebbero quelli di Veltroni & Company.

L'alleanza con la Lega è si importante, ma è anche molto cara, in senso politico, i lùmbard non fanno nulla disinteressatamente,sono alleati molto esigenti, come danno così pretendono, infatti hanno condizionato molto la linea politica e l'azione di governo, mettendo spesso lo stesso premier in imbarazzo. Come non ricordare il primo DL del neonato governo (2008), ovvero il <decreto sicurezza>, nel quale i leghisti pretendevano venissero inseriti punti inconcepibili, quali <i medici spia>, <i presidi spia> e le impronte ai bambini rom, provvedimenti in seguito ritirati.

Il <Carroccio> è fedele, ma quanto affidabile e coerente? Tutti ricordano lo sgambetto che Bossi fece a Berlusconi nel'94 e il conseguente scontro che ne seguì, e i vari diktat che ha imposto al Cavaliere sia in sede di alleanza elettorale (2006, la cacciata di Casini, ndr), sia nell'ultima tornata elettorale delle regionali, dove pretese e ottenne che in Piemonte ed in Veneto, i candidati dovessero essere della Lega. Per la cronaca, l'elezioni in Piemonte e Veneto sono state vinte rispettivamente da Roberto Cota e Luca Zaia, esponenti leghisti. Appunto.
   Ormai conosciamo la Lega, partito profondamente popolare, capace di scaldare milioni di cuori, dalle valli piemontesi alle zone industriali venete, ma oltre ad essere popolare è anche molto (troppo) populista.
   Sovente tirano fuori la boutade (mica tanto) della secessione, al grido di "Padania libera", la sostituzione dell'"Inno di Mameli" con il "Và pensiero", l'introduzione del dialetto nelle scuole e altre simili sciocchezze.

Ma il cavallo di battaglia della Lega è quello di combattersi e allontanarsi il più possibile da "Roma ladrona", capitale della <confinante> Italia e simbolo di spreco ed atavico statalismo.
Nella realtà dei fatti però, i lùmbard, non si allontanano affatto da Roma (Italia), anzi vogliono avvicinarsi sempre più, dato che in Parlamento siedono, in totale tra Camera e Senato, 85 deretani verdi, e al governo dell'italico Stato sono presenti 3 ministri.
   L'obiettivo numero uno della Lega è, come sappiamo, il Federalismo. Quindi una volta ottenuto dovranno lasciare Roma e dedicarsi alla politica locale, sennò che indipendentisti sono? Quante volte hanno detto di essere autosufficienti, di essere determinanti con le loro imprese per l'economia italiana, di non chiedere mai aiuto, ma dopo l'ultimo alluvione abbattutosi sul Veneto, il rigoroso e dignitoso governatore Zaia, era un giorno sì e l'altro pure in tv a chiedere aiuto per la sua regione, aiuto ovviamente ottenuto all'istante. 300 milioni di euro tondi tondi. Ma qualcuno si è accorto dell'altro alluvione, quello di serie b abbattutosi nel salernitano? Quanti milioni sono stati destinati ai poveri comuni inondati? Non è dato sapere.
   Quei 300 milioni di euro, sommati agli altri 12mila mensili che i deputati del carroccio intascano non sporcano le loro pregiate mani?
Beh dimenticavo, PECUNIA NON OLET.

martedì 23 novembre 2010

Irpinia 1980. Un terra dimenticata, senza moto.


Sisma del 23 Novembre 1980
in Campania e Basilicata
 Oggi fanno giusto trent'anni dal terremoto dell'Irpinia. Un sisma che causò 2.914 morti e 8.848 feriti.
Il disastro sconvolse l'intera nazione e, malgrado molte furono le gare di solidarietà, i soccorsi arrivarono con grave ritardo. All'ora non c'era la Protezione Civile e i poveri Vigili del fuoco locali si trovarono davanti ad un'Apocalisse inaspettata.
   Oggi se si va nei comuni maggiormente colpiti da quella forte scossa (magnitudo momento 6,9), Lioni (AV), Sant'Angelo dei Lombardi (AV), Laviano (SA) si trovano ancora delle casettine di legno malconce e dei container funzionanti come case. O ancora paesi come Balvano (PZ) completamente fantasma.

Il Titolo in prima pagina de
IL MATTINO del 24 Novembre
Il nostro pensiero va a quelle persone che hanno perso oramai la speranza di riacquisire la dignità di una porpria casa, vera. Persone che non per loro scelta si son dovute inventare una vita da zingari, da Rom, pur, precisiamo, non volendo.
   Ricordando quella sciagura su cui tutti all'epoca guadagnarono in proventi economici, in special modo, ovviamente la camorra che sciacallò sui finanziamenti destinati ai terremotati, in primis senza tetto che, senza quel tetto son rimasti fino ad adesso e non si sa se mai lo vedranno mai un tetto. Parecchie famiglie rimasero senza case perchè alcuni, approfittandosene se ne accaparrò due o tre per se stesso.
   Lo Stato, assentissimo, asseriva con tacito assenso a questa ingiustizia. Lo Stato, assentissimo, non intervenne immediatamente, anche perchè non si rese conto subito della gravità dell'evento. Quello Stato, assentissimo, seppur il Presidente Pertini esortò con gran voce tutte le forze pubbliche e non ad intervenire, rimase completamente inerme nelle prime ore, in cui decini di vite potevano ancora essere salvate.

Forse se si pensasse a volte a questa tragedia, magari tutte le richieste, che sottolineamo sono lecite, dei cittadini aquilani sarebbero espresse con più moderazione anche per rispetto a chi ha perso anche la voce, insieme alla speranza, di ottenere giustizia sociale oltre che una vera e propria casa. Quella che hanno ottenuto la maggior parte dei terromatati aquilani.
Funerali di Stato
del Terremoto dell'Aquila 2009
   Il centro dell'Aquila va ricostruito, assolutamente, ma il primo passo, mettere un tetto su ogni testa lasciata scoperta dal terremoto del 9 Aprile 2009, è già un miracolo in questo Paese, un impegno che non può essere sottaciuto perché si peccherebbe in presunzione.

In questo giorno, triste per chi ha vissuto quel periodo in Campania, specie nelle provincie di Salerno ed Avellino oltre che nella provincia lucana di Potenza. In questi giorni in cui ci sono manifestazioni che chiedono la ricostruzione dell'Aquila, vogliamo esprimere solidarietà a quella terra che scossa dal terremoto per motivi naturali, sedotta dalla malavita per scopi economici, e rimasta senza alcun moto per la negligenza politica.

domenica 21 novembre 2010

IL NOIR DELLA SIGNORA IN NERO-Il delitto della domenica

Sono le 21, Concetta 45 anni, è in casa, da sola dopo che il marito e il figlio sono usciti. La signora indossa una maglia nera e pantaloni dello stesso colore. All'improvviso uno squillo. Stasera la signora non aveva in programma di uscire, ma dopo questa telefonata, Concetta prende il giubbotto, ovviamente nero, la borsa, nera, e le chiavi della macchina: una Mercedes nera.
Da quel momento,  dopo che la signora lascia Voghera, alle 23 dell'11 dicembre 2000, di lei si perderanno per sempre le tracce.

Concetta quella sera è svanita nel buio. E nessuno sa dove sia andata, né chi l'abbia chiamata e non ha lasciato nessun messaggio. I figli e il marito, Attilio, dicono che Concetta non aveva nessun motivo per andarsene, tant'è vero che non ha fatto i bagagli e ha a casa ancora tutti i suoi effetti personali, quindi le sarà capitato di sicuro qualcosa.
   Ma torniamo alla sera di dicembre. Perchè Concetta è uscita? Perchè la signora è una noleggiatrice d'auto e all'occorrenza anche autista, ergo, come sostiene il marito, non vi è alcunché di strano che Concetta abbia preso una corsa serale su appuntamento, un cliente che ha urgente bisogno di spostarsi e richiede auto e autista. Chi meglio di Attilio lo può capire, dato che anche lui è del settore, precisamente è tassista.
Ma quando all'indomani si scopre che Concetta non  rientrata a casa, cominciano le ansie, le ricerche e alla fine si denuncia la scomparsa.

Una cosa è certa, la signora doveva conoscere la persona che l'ha chiamata: lei era una tassista prudente e mai avrebbe accettato una corsa di notte da un cliente sconosciuto. Ma dopo quattro giorni, ecco che si infittisce il noir. Il marito, che ha portato col taxi a Milano dei clienti, non crede a i suoi occhi. In piazza XXIV maggio c'è la Mecedes nera della moglie. Attilio si avvicina subito, ma è chiusa a chiave. Quindi rientra di corsa a Voghera, prende il duplicato delle chiavi, torna subito a Milano, riprende l'auto che parcheggia poco lontano da casa in modo da non <allarmare> i figli, già molto preoccupati.
   Gli inquirenti non hanno molti elementi a disposizione, ma hanno scovato la chiamata: è giunta alle 23:03, da un telefono pubblico a poca distanza dal casello di Casei Gerola, sulla Genova-Milano, con una scheda prepagata. Ed il telepass della Mercedes ritrovata segnala un ingresso autostradale alle 23:35 e un'uscita alla barriera di Milano venti minuti dopo. E' tutto, poi il buio.
   Però qualcosa non torna: le chiavi dell'auto. In casa ne avevano tre copie. Una la signora, una il marito Attilio, la terza il figlio maggiore. Gli agenti hanno ritrovato le chiavi di Concetta nel cassetto della mecedes recuperata a Milano. Ma la macchina recuparata a Milano era chiusa a chiave dall'esterno. La Mercedes fa sapere che nessuno può avere una quarta chiave, previa richiesta scritta che negli archivi non risulta.

Così la famiglia di Concetta finisce tra gli indagati. Passano più di due mesi e la storia di Concetta assume sempre più i contorni di un noir. E' il 21 di febbraio, quando alla questura di Voghera arriva una busta contenente i documenti della donna, un cellulare e una carta di credito. Intanto il marito è certo che la moglie se ne sia andata di sua volontà, tanto che la denuncia di abbandono del tetto coniugale.
I sospetti si concentrano sempre più su Attilio, anche se quella sera ha un alibi di ferro: era a cena col figlio, quella sera. Ma gli inquirenti, armati di pazienza scoprono qualcosa. Da indiscrezioni, si viene a sapere che Attilio avrebbe offerto a un tale 25 milioni di vecchie lire per far sparire la moglie. Anche i figli cominciano a credere a questa mesta ipotesi. La chiave di volta arriva a oltre due anni dalla sparizione e dopo 8273 intercettazioni telefoniche. Grazie alla scheda prepagata, usata per chiamare la signora quella sera: hanno controllato altre utenze contattate con quella scheda e sono risaliti a tal Giovanni Caruso, pluripregiudicato e al momento in carcere per un altro reato. Caruso si scopre essere amico di Attilio. Gli inquirenti hanno ascoltato per oltre un anno le telefonate dei due uomini, e durante una di esse si accerta la verità.
Quella notte la donna fu chiamata da Caruso, che si finse un cliente, e una volta giunta a Milano fu fatta sparire, tra la zona di Assago e via Ripamonti, dove fino alle due di quella notte, il cellulare di Caruso ha segnato la presenza del proprietario.

Ma i figli di Concetta, non sapranno mai con certezza come siano andate le cose, perchè il corpo della madre non sarà più ritrovato. Nè il mandante, Attilio, nè l'esecutore, Caruso, confesseranno mai, ma ciò non eviterà loro una dura condanna: 30 anni al marito, ergastolo per Caruso.
Questa è la storia di Concetta, che in una nera  sera di dicembre, vestita di nero, esce con la sua auto, nera, e sparirà nel buio, diventanto protagonista, suo malgrado, di un caso di cronaca. Cronaca, ovviamente nera.

sabato 20 novembre 2010

Più zecchini ai bambini!

Partecipanti dello Zecchino d'Oro
2010
Si è conclusa la 53a edizione dello Zecchino d'Oro. I vincitori, quest'anno, sono due: Giovanni Pellizzari con la canzone Il Contadino e Irene Citarrella con il brano Un topolino, un gatto... e un grande papà.
   E' arrivata, dunque, al termine l'edizione dello Zecchino d'oro, patrimonio dell'Unesco, trasmesso da una televisione che spesso non fa programmi per bambini, ma i bambini li sfrutta. Come nelle trasmissioni che creano mostri dalle corde vocali gravemente a rischio; e la mente, la psicologia, del bambino seriamente inquinata da innaturali obiettivi di gloria, simili a quelli cui aspirano i ragazzi dei Talent Show.

In quest'epoca di falsi miti, d'insegnamento ai bambini della malizia, della cattiveria, della bruta furbizia, lo Zecchino d'Oro resta puro divertimento con tematiche adatte ai bambini che sono, per fortuna, ancora privi di preconcetti, di malizie e di convenzioni.
   Sinceramente speriamo che ci siano altri esempi simili e che quei programmi che deviano il vero vivere dei bambini siano censurati. Ai bambini servono gli zecchini, degli euro e del successo non sanno che farsene (sempre che quegli euro vadano poi ai bambini).

venerdì 19 novembre 2010

Bavaglio all'italiana-Tv e giornali sotto regime berlusconiano


Augusto Minzolini, direttore tg1
In Italia da 17 anni a questa parte, a cadenza ciclica vi è una paura negli italiani, o meglio in una parte di essi, una paura chiamata regime. Questo timore serpeggia soprattutto quando a Palazzo Chigi è insediato un governo di centrodestra (Berlusconi), mentre quando in sella è la sinistra, niente paura si torna in un sistema democratico.
In primis, questa pericolosa deriva autoritaria viene dal mondo dell'informazione. Politici, giornalisti, cantanti, attori, conduttori televisivi, denunciano una cappa di piombo sulle tv, non c'è libertà d'espressione, c'è la censura preventiva, in poche parole non c'è informazione, in particolar modo in Rai mentre in Mediaset (gruppo Berlusconi) beh siamo nella tana del lupo.
Ritengo normale che in un Paese, democratico? (così dice la Costituzione), vi siano programmi e giornali sia filogovernativi, sia atigovernativi. Questo dovrebbe chiamarsi pluralismo, ma in Italia no, o si chiamano servi del padrone oppure paladini della libertà.

Andiamo nei dettagli: in Rai come filogovernativi troviamo il tg1 di Augusto Minzolini (nella foto), beh a mio avviso eccessivamente filogovernativo tanto da ridurre al minimo (o eliminare) lo spazio all'opposizione e impostando il più prestigioso e importante telegiornale italiano in una sorta di ufficio stampa del governo. E' un dato di fatto che, da quando a dirigere è l'"Augusto direttore", il tg1 ha perso oltre un milione di telespettatori (giustamente). Altri programmi che tifano per il Premier, ma molto più equilibrati sono "Porta a porta" di Bruno Vespa, che fa un grande sforzo ad essere super partes, il tg2 di Mario Orfeo e "L'ultima parola" del leghista Gianluigi Paragone.
Emilio Fede, fondatore e direttore del tg4
In casa Mediaset, troviamo il tg5 diretto da Clemente J Mimun, "Matrix" di Alessio Vinci, e infine il caposcuola del giornalismo di parte: il tg4 di Emilio Fede, che con le sue arringhe appassionate, con i suoi servizi montati ad hoc, fa del suo tg4, il tg più inattendibile e squilibrato d'Italia.
Quindi in un Paese con tendenze autoritarie questi programmi dovrebbero occupare gran parte dei palinsesti televisivi, dando quasi nessuno spazio a quei pochi programmi antigovernativi. Ma è così?

Nella tv pubblica abbiamo diversi (o molti) programmi che parteggiano per l'opposizione a cominciare dal tg3 di Bianca Berlinguer, "In mezz'ora" di Lucia Annunziata, "Ballarò" dell'antipatico (giudizio personale) Giovanni Floris,"Che tempo che fa"del superpagato Fabio Fazio, il quale alla faccia della censura raddoppia con "Vieni via con me" affiancato da Robero Saviano, sempre più militante e sempre meno scrittore. Altri programmi col <bavaglio> sono "Report" della bravissima milena Gabanelli, "Presadiretta" dell'altrettanto bravo Riccardo Iacona, e programmi satirici come "Parla con me" del duo Dandini-Vergassola. Tranquilli, non mi sono dimenticato di citare lui, il paladino della libertà d'informazione, il supercensurato, il boicottato,il confinato, l'estromesso, il denunciato, perseguito e perseguitato, l'esiliato, l'<europarlamentato> Michele Santoro, che con il suo "Annozero", da anni, diffama, scredita, accusa tutto ciò o tutti coloro che, direttamente o indirettamente hanno avuto o sono in contatto con il diavolo in persona, ovvero Silvio Berlusconi.
L’Autorità non ha il diritto di snaturare La7
Vittorio Feltri direttore de "Il Giornale"
Se in Rai e Mediaset troviamo programmi anti e progovernativi, nel terzo polo televisivo, La7, la quasi totalità di tg e programmi è politicamente corretta, quindi di sinistra, a cominciare dal telegiornale che da quando alla direzione c'è Chicco Mentana, ha più che triplicato gli ascolti. Poi abbiamo programmi quotidiani che bastonano il governo, come "Ottoemezzo" della rossa Lilli Gruber, "In onda" di Luca Telese, "L'Infedele" dello spocchioso e saccente Gad Lerner (nella foto), "Le Invasioni barbariche" della scialba Daria Bignardi e infine "Exit"condotto dalla tanto brava quanto scorretta Ilaria D'Amico.

Questo per quanto concerne le tv, ma non diversa è la situazione della carta stampata. I quotidiani pro-premier sono "Il Giornale" diretto dal discusso e discutibile Vittorio Feltri (nella foto) che questa estate è stato protagonista di una squallida campagna contro il Presidente della camera Gianfranco Fini.
L'altro quotidiano vicino al governo è "Libero" di Maurizio Belpietro, anch'esso protagonista nella campagna di delegittimazione verso Fini.
Infine non capisco perchè Minzolini, Feltri, Belpietro e Vespa siano considerati, faziosi, servi del padrone. mentre gli altri, Santoro, Ezio Mauro, Scalfarie e compagnia siano degli eroi, dei paladini della giustizia resta tutto un mistero.

Abbiamo visto che, in tv il rapporto tra filo governativi e anti governativi è 4-13, così come per i giornali è di 2-10, vi è proprio uno squilibrio dell'informazione, ma all'inverso, in un regime che fa davvero acqua.

Il ministro dell'interno resta all'esterno della RAI.

Se davvero la trasmissione Vieni via con me, è liberale, è voce di tutti, di destra di sinistra e, l'abbiamo visto con Fini, Bersani e Benigni. Se davvero la trasmissione di RAI3 è speranza (come dicevamo nell'articolo scorso) di una fiaccola di libero pensiero, dove ognuno ha un suo libero arbitrio senza condizionamenti di causa ed effetto. E' paradossale, davvero, che il ministro dell'Interno italiano, Roberto Maroni, non possa partecipare a questa.

Roberto Maroni.
Ministro degli Interni.
Se l'incontro richiesto dal ministro non si effettuasse, e non ci sono motivi sconvenienti per cui Maroni non possa intervenire, sia in termini tecnici sia per gli ascolti che ovviamente potrebbero essere ottimi in attesa di un incontro mediaticamente discusso in settimana, sarebbe un errore imperdonabile, per chi si pone come paladino della libera informazione, e più volte Saviano ha fatto oracoli a favore di ciò.

E' chiaro che viene da pensare che, forse, proprio in virtù degli ultimi successi avuti dalla Polizia dello Stato, Saviano teme di perdere un confronto che partirebbe a vantaggio di Roberto Maroni. Ma questo è davvero voler dubitare malignamente dell'autore campano che dovrebbe essere il primo ad esultare e complimentarsi, anche, con il ministro Maroni per l'arresto del boss latitante Antonio Iovine.

mercoledì 17 novembre 2010

Vieni via con me in un mondo nuovo - La speranza

Fabio Fazio e Roberto Saviano in
"Vieni via con me"
Il grande successo di pubblico della trasmissione di Fazio-Saviano andata in onda, lunedì, su RAI3 desta più che qualche speranza. Nove milioni di persone hanno deciso di riaccendere una fiaccola, si spera dura a morire, che veglia sulla spazzatura televisiva di questi ultimi tempi e sulla bruttura politica di questi ultimi mesi (ad essere buoni, ultimi mesi, ndr).

Chissà se basterà una trasmissione a riportare la politica a una normalizzazione? Se quegli elenchi letti, con poca interpretazione televisiva, da Gianfranco Fini e Pierluigi Bersani, seppure banali per la verità, possano porre base ad una nuova era politica?
Pierluigi Bersani e Gianfranco Fini
   Noi crediamo che sia ancora poco. Che prima che si apra un nuovo era politica bisogna che ce ne sia una, d'epoca, che si chiuda. Eh magari sull'apertura c'è pure uno spiraglio di luce, ma sulla chiusura, rappresentata in Vieni via con me da un esilarante Antonio Albanese nei panni del politico colluso con la malavita, Cettola Qualunque, su quella è dura crederci.

Noi per la verità siamo ancora confusi su cos'è la destra e cosa la sinistra, nel dubbio proponiamo un riassunto di quello che sono i valori della destra e della sinistra per Bersani e Fini oggi, che poco fanno eco con la vecchia definizione data degli stessi da Noberto Bobbio, e quello che ci diceva in un ieri non troppo lontano (2001) un grande artista come Giorgio Gaber.


Gianfranco Fini
La destra èl'Italia che ha fiducia nel futuro perché ha fiducia in se stessa" ed "essere di destra vuol dire innanzi tutto amare l'Italia, avere fiducia negli italiani, nella loro capacità di sacrificarsi, lavorare onestamente e pensare al futuro dei figli, essere solidali e generosi". Ne sono esempio "i nostri militari in Afghanistan, le migliaia di connazionali volontari che aiutano anziani, malati, deboli... le imprese e le famiglie che danno lavoro a immigrati onesti i cui figli domani saranno anch'essi cittadini italiani perché la patria da tempo non è più soltanto la terra dei padri".


Pierluigi Bersani
La sinistra è: l'idea che se guardi il mondo con gli occhi dei più deboli puoi fare davvero un mondo migliore per tutti". Passa poi alla Costituzione che definisce "la più bella del mondo"; che dire poi dell'economia:  "non gira se pochi hanno troppo e troppi hanno poco"... "è la dignità di una persona, chiamare flessibilità una vita precaria è un insulto";  "Chi si ritiene progressista deve tenere vivo il sogno di un mondo in pace, senza odio e violenza, combattere contro la pena di morte e ogni sopraffazione, contro l'aggressività che ci abita dentro, quella del più forte sul più debole".


Vieni via con me - 2010


Tutti noi ce la prendiamo con la storia ma io dico che la colpa è nostra
è evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra o destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

Fare il bagno nella vasca è di destra
far la doccia invece è di sinistra
un pacchetto di Marlboro è di destra
di contrabbando è di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
Una bella minestrina è di destra
il minestrone è sempre di sinistra
tutti i films che fanno oggi son di destra
se annoiano son di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
Le scarpette da ginnastica o da tennis
hanno ancora un gusto un po' di destra
ma portarle tutte sporche e un po' slacciate
è da scemi più che di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

I blue-jeans che sono un segno di sinistra
con la giacca vanno verso destra
il concerto nello stadio è di sinistra
i prezzi sono un po' di destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
I collant son quasi sempre di sinistra
il reggicalze è più che mai di destra
la pisciata in compagnia è di sinistra
il cesso è sempre in fondo a destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
La piscina bella azzurra e trasparente
è evidente che sia un po' di destra
mentre i fiumi, tutti i laghi e anche il mare
sono di merda più che sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

L'ideologia, l'ideologia
malgrado tutto credo ancora che ci sia
è la passione, l'ossessione
della tua diversità
che al momento dove è andata non si sa
dove non si sa, dove non si sa.

Io direi che il culatello è di destra
la mortadella è di sinistra
se la cioccolata svizzera è di destra
la Nutella è ancora di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
Il pensiero liberale è di destra
ora è buono anche per la sinistra
non si sa se la fortuna sia di destra
la sfiga è sempre di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
Il saluto vigoroso a pugno chiuso
è un antico gesto di sinistra
quello un po' degli anni '20, un po' romano
è da stronzi oltre che di destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

L'ideologia, l'ideologia
malgrado tutto credo ancora che ci sia
è il continuare ad affermare
un pensiero e il suo perché
con la scusa di un contrasto che non c'è
se c'è chissà dov'è, se c'é chissà dov'é.

Tutto il vecchio moralismo è di sinistra
la mancanza di morale è a destra
anche il Papa ultimamente
è un po' a sinistra
è il demonio che ora è andato a destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
La risposta delle masse è di sinistra
con un lieve cedimento a destra
son sicuro che il bastardo è di sinistra
il figlio di puttana è di destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
Una donna emancipata è di sinistra
riservata è già un po' più di destra
ma un figone resta sempre un'attrazione
che va bene per sinistra e destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

Tutti noi ce la prendiamo con la storia
ma io dico che la colpa è nostra
è evidente che la gente è poco seria
quando parla di sinistra o destra.

Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra...

Destra-sinistra
Destra-sinistra
Destra-sinistra
Destra-sinistra
Destra-sinistra
Basta!




Destra-Sinistra, Giorgio Gaber - 2001

lunedì 15 novembre 2010

Liberata ma non libera

Come ampiamente annunciato e sperato, finalmente, sabato 13 novembre Aung San Suu Kyi è stata liberata.
Aung San Suu Kyi.
Premio nobel per la pace.
Il regime birmano, ha mantenuto la <promessa> di liberare la prigioniera dopo le elezioni del 5 novembre scorso, elezioni farsa che hanno visto trionfare la giunta militare al potere con un plebiscito dell'80%.

La <Signora> come è soprannominata in patria, è stata liberata dopo una detenzione di sette anni (tra carcere e domiciliari), ma in totale ha passato 15 degli ultimi 21 anni in detenzione, prima carceraria poi domiciliare, con la colpa di voler smuovere le cosciennze, di spronare il suo popolo, stremato e sconfitto da 48 anni di dittatura.

Aung San Suu Kyi, figlia del <padre della patria>, Generale Aung San, primo presidente della Birmania indipendente, il quale verrà ammazzato nel '47, quando la figlia aveva solo due anni, trascorre la prima parte della sua vita in Gran Bretagna e, dopo la laurea a Oxford in filosofia, comincia il suo peregrinare per il mondo che la vede prima in India, dove conosce Gandhi e sposa la sua teoria della non violenza, per poi passare per il Giappone, il Bhutan, e infine negli Usa, a New York, dove cominciò a lavorare per le Nazioni Unite dove conobbe anche il suo futuro marito Michael Aris, studioso di cultura tibetana.
   La <Signora> cominciò a far politica per caso, nel 1988, quando tornò in Birmania per assistere la madre (già ambasciatrice birmana in India) malata. In quell'anno scoppiò una rivolta, poi passata alla storia come la <rivoluzione degli studenti>, contro la giunta militare che da quasi tre decenni soffocava il Paese. Ma dopo alcuni giorni, l'insurrezione fu repressa nel sangue, con circa tremila morti (cifra delle autorità birmane...) e la dittatura, allora capitanata dal generale Ne Win volle venire incontro al suo popolo e alla comunità internazionale indicendo, per la prima volta, delle elezioni politiche generali.
   Suu Kyi, che doveva rimanere in Birmania solo per pochi giorni, (la madre nel frattempo defunse), sentì l'obbligo di fare qualcosa per il suo paese, così come fece suo padre battendosi per l'indipendenza, e cominciò a ribellarsi sfidando le autorità con comizi in giro per il paese. E fu l'anno dopo, il 1989, che fonda il partito LNd (lega nazionale per la democrazia). La reazione delle autorità non si fa attendere, e pochi mesi dopo viene arrestata per la prima volta.

L'anno successivo, il suo partito ottiene alle elezioni un plebiscito dell'80%, ma la giunta militare non riconoscerà mai questo risultato, dapprima annullando le elezioni, e in seguito arrestando di nuovo Aung San Suu Kyi e diversi esponenti del suo partito. Ma i Generali al potere, vollero salvare le apparenze, offrendo a Suu Kyi e famiglia la possibilità di lasciare il paese senza conseguenze, ma ella rifiutò, ben sconoscendo tutte le difficoltà che andava incontro. Infatti dall'89 al '99, vide marito e figli (esiliati a Londra) solo cinque volte e non poté dare l'ultimo saluto al marito, morto di cancro, perchè i militari non le diedero il permesso di partecipare nemmeno ai funerali. Nel 1992 fu insignita di premio nobel per la pace, ma ad Oslo a ritirare il premio fu il figlio al posto della madre sotto detenzione.
   Nel 2000 venne liberata una prima volta, ma non fu una vera e propria scarcerazione, difatti aveva l'obbligo di non lasciare la capitale Rangoon (l'odierna Yangoon) e non le era concesso di parlare in pubblico e fare comizi.

Than Shwe. Generale birmano.
Dittatore del Myanmar.
Così si arriva al 2003 quando la giunta militare, nel frattempo passata sotto il controllo del sanguinario generale Than Shwe, arresta San Suu kyi e centinaia di esponenti della LND. La sua prigionia domestica non è meno dura da quella carceraria, in isolamento completo, senza tv e giornali, non le è permesso ricevere visite, se non quella del suo avvocato, mantiene i contatti con il mondo solo attraverso una piccola e vecchia radio. Anche la sua corrispondenza è pesantemente censurata, ma lei, dalle sue poche lettere a noi note, non si è mai abbattuta e scoraggiata, nonostante la lontananza dei figli, ha sempre lanciato messaggi di pace e speranza alla folla che quotidianamente, sfidando l'esercito, si radunava davanti al suo cancello, incitando i compatrioti a non mollare.

Monaci in protesta.

Forti di questo incitamento, nell'estate 2007, ha inizio una nuova protesta pacifica (la marcia dei monaci), migliaia di monaci buddhisti attraversano silenziosamente le strade della capitale, e con il passare dei giorni diventano centinaia di migliaia. Ma due settimane dopo, la giunta militare reprime nel sangue anche questa protesta, lasciando per le strade centinaia di cadaveri, e arrestando circa ventimila monaci.
Quindi è solo grazie a questa "grande" donna, 65 anni splendidamente portati, che il mondo conosce la Birmania, oggi Myanmar, sotto assedio da uno dei regimi più totalitari e repressivi del mondo, dove non vi è alcuna libertà, non è rispettato nessun diritto umano, dove ci sono ancora i lavori forzati, dove le entrate dello Stato, soprattutto agricoltura, vengono divise tra le alte sfere militari costringendo il popolo alla fame, un paese dopo la nuova capitale, Naypydaw, fortezza dei generali, è inaccessibile ai suoi cittadini.

Tutti noi gioiamo per la liberazione (temo provvisoria, ndr) di San Suu Kyi, ma è tutto fumo negli occhi, le sarà permesso rifondare il suo partito? Sarà mai libera di circolare per il paese?
Ma, a mio avviso, finchè questi generali senza cultura e senza ideologia, saranno appoggiati e finanziati dalla Cina, la democrazia sarà solo un'utopia.

domenica 14 novembre 2010

Abu Dhabi: La fine dello stile Ferrari

Un Pit Stop Ferrari.
Da bambino guardavo sfrecciare quei diavoli rossi sul nero asfalto è gioivo solo a guardarle. Ma ricordo che fino a poco tempo fa quei diavoli rossi, chiamati Ferrari, avevano una squadra che coordinata da Jean Todt non sbagliava, quasi, un Pit Stop. Si attendeva, anzi, il Pit Stop per vedere lo spettacolo di quei meccanici che quasi s'immolavano con ogni mezzo per mettere quella vettura rossa, considerata come loro creatura (perchè tale era), davanti a tutte le altre, a tutti gli altri colori. Il Pit Stop, quindi, come certezza di una riscossa o di una conferma sicura.
 
Oggi, con la fine del mondiale di Formula Uno 2010, c'è un triste consolidamento dell Cavallino rampante, creato da quell'altrettanto rampante uomo romagnolo di Enzo Ferrari, a perdere è soprattutto la squadra Ferrari. Lo stile di quei meccanici perfetti, che riuscivano sempre a mettere davanti alle altre macchine colorate la loro lucidante vettura rossa.
Sebastian Vettel, il più giovane pilota
campione del Mondo
   Webber tocca il guardarail ed è costretto alla sosta, la Ferrari (squadra) cosa fa? Si auto-costringe ad uscire pagando l'errore del pilota australiano, quasi per una solidarietà sportiva, che non ha alcun senso. Il pilota spagnolo Fernando Alonso, che aveva in pugno la vittoria del mondiale si trova con Webber impantanato nel traffico che lo ha portato fuori dalla lotta con il vero vincitore, colui che non era mai stato alla guida del campionato piloti, il giovanissimo Sebastian Vettel, a cui vanno tutte le congratulazioni, davvero meritate.
   Questo disastro strategico, c'è da precisare, non è avvenuto solo in quest'occasione, ma si è rivelato per l'intero campionato. Mi dispiace ma consiglierei a Domenicali & Company di ristudiare la Formula Uno che, era ed è tutt'altra cosa, specie quella che fino a cinque anni fa si vedeva. La Ferrari poteva pure perdere, ma la squadra ne usciva sempre a testa alta.

IL CADAVERE NELLO SCATOLONE-Il delitto della domenica

Agosto 2003. Siamo a Cellole, provincia di Caserta, quella Caserta quasi marinara, ovvero il litorale domiziano, dove anche quel sabato 30 agosto è come al solito affollato di bagnanti. Ma questa non è solo una zona turistica, infatti n questo lembo di terra ad alberghi e stabilimenti balneari, si alternano vigneti e campi di granturco e fagioli.

Anche in quel bollente sabato d'agosto, subito dopo pranzo, anziché schiacciare un pisolino il contadino si porta nel suo terreno, in campagna c'è sempre da fare. Non ha fatto ancora pochi passi che subito nota un cartone, un grosso cartone perso tra le sue coltivazioni.
Saranno i soliti incivili, pensa il contadino, che si appresta a rimuovere i rifiuti che sempre più sovente lasciano nei suoi campi. Ma è mentre s'avvicina che il contadino nota qualcosa di sospetto: dal cartone spunta una pianta che con la terra non ha nulla a che vedere. E'la pianta di un piede. E il resto del contenuto è immaginbile e neanche raro a vedersi, considerato il luogo.
   Il contadino, che nella vita e nella zona ne ha viste tante, non appare scosso dal ritrovamento, e dopo aver chiamato ambulanza e carabinieri, aspetta buttando uno sguardo al cadavere. Singolare è la postura di quel cadavere: avvolto in una coperta di lana c'è un corpo rannicchiato, come inginocchiato. Le mani sono legate con del nastro adesivo, sulla testa ha un sacchetto di plastica. E' il cadavere di un uomo incappucciato.

I carabinieri, nel frattempo non precipitosamente arrivati, azzardano subito la più scontata delle ipotesi: camorra. Infatti la Baia Domizia è una zona con un alto tasso di malavita,  e da anni che è in atto una guerra tra clan, quindi un nuovo, ennesimo cadavere ritrovato, sarebbe solo routine.
   Dopo aver fatto i rilievi del caso, c'era un'altra prassi da sbrigare: l'identificazione della vittima. Ma questo al momento non è possibile, visto che non vengono rinvenuti documenti. E non è nemmeno una faccia nota agli inquirenti. Si sa solo che ha, presumibilmente, una cinquantina d'anni e quel sacchetto in testa gli è stato messo solo dopo che l'assassino ha sparato, ci sono infatti tre fori sul cranio.
Il primo referto dell'autopsia svela che l'uomo è morto almeno da quattro giorni, ma nessuno ne ha denunciato la scomparsa. E' strano non tanto il luogo del ritrovamento, quanto il modo in cui è stato fatto ritrovare il corpo. Lo scatolone, la coperta di lana, il sacchetto di plastica: tutte <accortezze> che non sono proprie della camorra casertana. Ma è un nuovo esame autoptico a svelare la prima sorpresa: quei tre fori sul cranio non sono stati procurati da proiettili.
   Per uccidere il <senza nome> non è stata usata un'arma da fuoco, bensì un oggetto contundente, pesante ed appuntito: un martello. I killer della camorra che uccidono a martellate? Ed è qui che la pista della mala casertana viene accantonata.
   Seconda ipotesi. Un delitto interno al mondo dell'agricoltura? E' noto che quella è una zona di caporalato, forse un clandestino si è ribellato a qualche condizione ed è stato punito. Ma anche questa pista non dà risultati.

Ma ecco che qualcosa comincia ad emergere. La vittima era schedata, niente di che, piccoli precedenti, ma finalmente ha un nome. Si tratta di Amedeo Bacchilega, 46 anni e nulla aveva a che fare con la malavita, e soprattutto niente a che fare con la provincia casertana. Perché Amedeo, muratore viveva a Ravenna con la sua compagna, la quale da giorni non aveva più sue notizie.
   Amedeo e la sua compagna, Maria Teresa, da tempo erano in crisi. Il 25 agosto, dopo la loro ultima ed ennesima litigata, Amedeo era uscito come al solito, e non aveva fatto ritorno. Lì per lì Maria Teresa non si era preoccupata, ma con il passare dei giorni, l'inquietudine saliva. Così appresa la notizia, parte per Caserta ed effettua il riconoscimento del corpo.
   Né lei, né la procura di Santa Maria Capua Vetere, che ha in mano l'inchiesta, sanno dare un movente per quell'assassinio anomalo. Una sola cosa è certa: con la camorra non ha nulla a che vedere.
Dopo aver confermato che quell'cadavere è il suo compagno, Maria Teresa torna in albergo, a Napoli, da dove l'indomani ha intenzione di ripartire. Prima però gli inquirenti vogliono verificare alcune cose, a cominciare dai conti del Bacchilega e dalle chiamate da lei ricevute. Il giorno dopo la convocano per un ultimo colloquio, perchè nei tabulati del cellulare di Amedeo c'è un numero che appare più volte. Appartiene ad un amico della vittima, un imbianchino di Nola, che da un anno si è trasferito in Romagna. E curioso è anche il fatto che questo numero appare anche nei taubulati del cellulare di lei, che per precauzione è stato messo sotto controllo. Anche lei che ora è a Napoli, si è sentita col suddetto.
   Non ci vuole molto a fare due più due e scoprire che Maria Teresa e l'imbianchino, Angelo, sono amanti, dato che alloggiano anche nello stesso hotel. Sicché quando il giorno dopo esce dall'albergo e prende la direzione dell'autostrada, non immagina che sotto il volante della sua auto gli investigatori hanno piazzato una cimice. E, quando Angelo nervoso sale sull'auto, subito esclama: "ma cosa mi hai fatto fare? Ora ci prenderanno di sicuro" Lei più fredda:"stai tranquillo, che arrivati a Ravenna penseremo ad una nuova fuga".

E' l'una di notte, quando sull'autostrada verso Roma, un' auto dei carabinieri si affianca alla Golf condotta da Maria Teresa. I due vengono portati in caserma: il primo a cadere è lui, poi lei.
   E, finalmente, si riesce a ricostruire il delitto. E'avvenuto in casa Bacchilega, a Ravenna dove la vittima avrebbe aggredito la compagna con un martello. E Angelo anche lui presente, avrebbe disarmato l'amico per poi colpirlo ripetutamente. Gli arti legati e la testa coperta? Niente solo per far entrare il corpo nello scatolone e non far fuoriuscire il sangue.
   Perché portare il corpo a 600 km di distanza? Si pensava che portare un cadavere in terra di camorra fosse sufficiente ad allontanate qualsiasi sospetto ed assegnare il delitto alla malavita.
   Alla fine Angelo, sarà condannato a 13 anni di carcere, lei la vedova nera, se la caverà con l'assoluzione, ed uscirà di scena. Continuerà a vivere nella casa che fu anche di Amedeo.

sabato 13 novembre 2010

Napoli: I rifiuti noi li rifiutiamo, accettateli voi!

"I rifiuti noi li rifiutiamo e li doniamo a voi che li smaltite, per quella che si chiama solidarietà". Hanno risolto il problema rifiuti in Campania, la provincia di Napoli ha trovato il giusto stratagemma, quello che anticipavamo noi nell'articolo del 3 novembre.

Uno scorcio di Napoli, oggi
   Come al solito hanno vinto i facinorosi, quelli intransigenti, quelli che se non si fa come si dice loro si arriva ad usare la maniere forti condite da bombe ed altre minacce simili. La provincia di Napoli, si affida al presidente della regione Stefano Caldoro che a sua volta si affida alle altre province campane, quelle virtuose, quelle che si sono responsabilizzate sul tema della raccolta differenziata.
   Alla fine, quindi, a pagare le colpe di chi proprio non vuole fare né raccolte differenziate, né vuole incenerire i propri rifiuti, ma solo nasconderli sotto un lembo di terra, l'importante, però, che la terra non sia la propria, dicevamo chi paga le colpe degli irresponsabili, sono i responsabili. La solita storia italiana dell'arrangiarsi "a come cavolo va"!

Stefano Caldoro, Presidente
regione Campania. "Il solidale"
   Questa che si chiama irresponsabilità, il presidente della Regione campana la vuole far passare sotto nome di "solidarietà". Beh... la solidarietà che noi conosciamo è fatta di ben altre azioni. La solidarietà si fa per chi è malato, per chi non ce la fa, non per chi non vuole fare un qualcosa che può benissimo fare. Quella non è solidarietà, caro Caldoro. A noi non convince assolutamente questo suo dire, per non parlare del suo fare. Questo è un  fare che de-responsabilizza chi già è irresponsabile, è un giustificare la strafottenza, altro che solidarietà. E' un fare che va contro una risoluzione dell'eterna, e ormai farsesca, emergenza rifiuti in Campania (che è, in realtà, emergenza napoletana). E' dire: "non vi preoccupate di riciclare, di smaltire, di valorizzare la vostra immondizia. C'è chi lo fa per voi! Chi non lo farebbe per solidarietà umana?" Già, solidarietà, bella scusa.

    Difatti supponiamo che tutte le province decidono in toto di non smaltire in nessun modo i loro rifiuti. Supponiamo che una sola di quelle province per spirito "solidale", come lo definirebbe Caldoro o chi per egli, accettasse di aiutare le province. Cosa ne sarebbe di quella provincia in solo cinque anni? Un immensa distesa di rifiuti a cielo aperto coperta di terra mista a fango. Questa è solidarietà? O è approfittarsi della solidarietà altrui. Più che solidarietà non sarebbe meglio definirla come una sorta di immolazione, se non martirio. Ecco cos'è, dunque, signor Caldoro e signor Cesaro, la vostra beneamata solidarietà, un misto tra strafottenza e immolazione altrui.

venerdì 12 novembre 2010

L'Italia e i federalisti del proprio orticello


Cartina dell'Italia del 1848.

L'Italia si sta preparando a diventare federalista. Un'idea che può prendere spunto dal politico italiano Carlo Cattaneo, che già a metà dell'Ottocento asseriva la possibilità di creare uno stato federale. I suoi enunciati politici-sociali furono fondamento del primo pensiero federalista europeo. Ma i suoi concetti di solidarietà, come base del federalismo, sono le fondamenta su cui si sta poggiando il nostro federalismo? Siamo pronti a questo cambiamento radicale?

Carlo Cattaneo
Oggi è già possibile intrave-dere i primi segnali di come potrebbe essere questa nuova, stupefacente, esperienza politica. Tra i pochi, per adesso, poteri demandati alle province o alle regioni vengon fuori notizie strabilianti. le strisce pedonali che diventono di tutti i coloti. Province che prevedono l'obbligo della catene a bordo in certi periodi e altre non. Causano dei simpatici disagi agli individui che si mettono in strada negli ultimi tempi. Fin quando questo si limiterà alle strade "italiane", il problema è ancora guaribile. Quantomeno recuperabile. Ma cosa faremo se questi problemi s'inestassero nella vita quotidiana e in faccende più serie.
  La sanità ci dà un grosso esempio, visto che è stata il primo settore ad essere federalizzato dal 2001, in questo senso, in parecchie regioni, da meno di un mese, al codice bianco del Pronto Soccorso si deve sborsare una cifra che arriva a toccare i cinquanta euro in Campania. Quindi si sollecita i cittadini ad inventarsi medici, prima di andare al Pronto Soccorso, e capire se quel che sta avendo è un nfarto o una suggestione psicologica. Quante persone rischieranno la vita? Chi si prenderà la responsabilità? Di certo non quelli che hanno portato un debito saniatrio di 4 milioni di euro. Per questo viene da chiedersi ma siamo proprio pronti ad avviare il federalismo in questa nazione che, non si deve mai dimenticare per giustizia storica, fu unita coattamente, con forza e che un'unità vera non l'ha forse mai avuta? Il federalismo è utile in un paese con dei politici responsabili che in una sorta di concorrenza di capacità politica si aggironino e migliorino sempre di più le infrastrutture, le tecnologie, la sicurezza ecc.
   Il punto è proprio questo. L'Italia è pronta per dividersi in federazioni?

Da giorni in Italia si discute su chi ha più bisogno d'aiuto. La domanda cardine che viene proponata è: Bisogna aiutare prima i veneti ad uscire fuori dall'emergenza alluvione o far risorgere Pompei da anni abbandonato alle incurie degli esperti che avrebbero dovuto vigilare sugli scavi?
   Questa è l'alba di un'Italia che va verso il federalismo. Un federalismo, come si può valutare dal suddetto, privo di solidarietà tra le varie regioni. Un federalismo, per capirci, che contrasta con quello di tutti gli altri stati federali del mondo in primis gli U.S.A.

Alluvione del Veneto
    Buttandola sul patetico i politici cercano di deviare l'acqua al loro mulino. Si discredita il valore della Schola armatorum, per difendere il proprio diritto a ricevere aiuti economici e tecnici per riemergere, letteralmente, dall'emergenza veneta dell'alluvione. Come se dire che gli scavi non valgono nulla, in quanto pietre dell'antichità che prima o poi si sa, debbono cadere, darebbe più risalto al tragico stato in cui si è ritrovata la regione Veneto. La tragedia è tragedia e, nulla può sminuirla, nemmeno i media che, addirittura, sono stati colpevolizzati per non essere stati presenti assiduamente sui luoghi della calamità naturale. Come se adesso tutto ciò che non appare in tv, non esiste. Non sono più i politici locali, le associazione di volontariato a fare da medium con lo stato, garantendo così la sicurezza sociale, ma la televisione in persona che farebbe da tramite a queste richieste di pronto soccorso.

    Insomma crediamo che ci voglia quantomeno un po' di serietà in questa nazione che si prepara, perdipiù, a diventare federale. Senza una dimostrazione di maturità, innanzitutto individuale, non mi fiderei nella decentralizzazione statale. Che fiducia si può avere in una classe dirigente che gestisce il pubblico denaro, le calamità con un campanelismo sfrenato. Succederebbe che il paese dell'assessore sarà sempre più garantito di quello che di assessori non ne ha. Ci sarà sempre un paese più federalista di un altro. Come dire: "L'erba del nostro vicino è sempre meno verde della nostra".